L’amministratore di sostegno, era una figura poco nota fino a qualche decennio addietro. Ma in effetti c’è un momento in cui ci si guarda attorno e ci si rende conto che il proprio padre, la madre, o magari uno zio rimasto solo, non è più in grado di gestire tutto da sé. Succede spesso, senza rumore e non c’è una data precisa. Un giorno si dimentica una bolletta, quello dopo si sbaglia a prendere le medicine. Poi arriva la confusione, qualche firma mancata, un appuntamento saltato. E a quel punto qualcuno in famiglia si pone la domanda: "Come possiamo aiutarlo senza togliergli la dignità?"
Una risposta arriva dalla legge, che nel 2004 ha introdotto una figura forse poco conosciuta, ma molto concreta: l’amministratore di sostegno. Niente di invasivo, niente che implichi l’interdizione o misure estreme. Piuttosto, un supporto pensato per chi ancora conserva parte della propria autonomia, ma ha bisogno di una mano su alcuni aspetti pratici. Vuoi saperne di più sul benessere degli anziani in casa? Allora prosegui la lettura e approfondisci su Alphabetcity.it .
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Di cosa si tratta
L’amministratore di sostegno è una persona nominata dal giudice tutelare per aiutare un anziano (ma anche un disabile o un soggetto fragile) nella gestione delle incombenze quotidiane. Atti bancari, firma di documenti, rapporti con l’ASL o con l’INPS, gestione delle spese. Nulla di più, nulla di meno. Solo quello che serve, con discrezione.
Chi viene scelto? Spesso è un familiare, ma non sempre. A volte si tratta di un professionista: un avvocato, un assistente sociale, o comunque qualcuno che abbia le competenze e soprattutto il tempo per svolgere questo compito con attenzione. Perché, va detto, non è una formalità: serve impegno, costanza, e un certo grado di empatia.
Come si richiede
Per avviare la procedura si deve presentare un ricorso al tribunale del luogo in cui vive l’anziano. Può farlo lui stesso, se ne ha la capacità, oppure un parente o i servizi sociali. Il giudice ascolta le parti, valuta la situazione, spesso richiede una visita medica, e poi decide. Stabilisce anche con precisione quali poteri avrà l’amministratore di sostegno, e per quanto tempo resterà al servizio della persona.
Non è una cosa da un giorno all’altro, ma nemmeno un percorso complicato. Serve solo un po’ di pazienza e qualche documento ben fatto.
I costi
Se l’amministratore di sostegno è un familiare, nella maggior parte dei casi non c’è compenso. Eventuali spese documentate (benzina, bolli, viaggi) possono essere rimborsate, ma sempre previa autorizzazione. Se invece la nomina ricade su un professionista esterno, il giudice stabilisce un compenso annuo. Si tratta di cifre variabili: qualche centinaio di euro nei casi semplici, cifre più alte se il patrimonio da gestire è complesso.
Una forma di tutela, non un commissariamento
Chi pensa che nominare un amministratore di sostegno significhi escludere l’anziano dalla propria vita sbaglia prospettiva. È l’opposto. Serve proprio a proteggerlo, evitando che si trovi coinvolto in situazioni spiacevoli o che subisca pressioni. In sostanza, è una garanzia. Per lui, ma anche per chi gli sta vicino.
Certo, non è una scelta facile. Richiede coraggio, senso di responsabilità, e in certi casi anche una buona dose di equilibrio familiare. Ma può fare davvero la differenza.
Quando conviene attivarla
La risposta non è sempre immediata, eppure ci sono segnali da non ignorare: confusione crescente, difficoltà a gestire il denaro, isolamento, ritardi nei pagamenti, problemi con farmaci o documenti. Finanche difficoltà nel ricordare persone, oggetti o, nei casi più gravi, sensibile aggressività verso i propri familiari. In questi casi, riflettere sull’opportunità di richiedere un amministratore di sostegno è un atto di cura, non un’ingerenza.